Natale d’Abruzzo

Il Natale raccontato da Carlo d’Aloisio da Vasto

Pur nella mutevolezza dei tempi, gli abruzzesi continuano a sentire ancora vive le antiche tradizioni del Natale che riproponiamo con l’articolo “Natale in Abruzzo” di Carlo D’Aloisio da Vasto, pubblicato sul quotidiano “Il Messaggero” il 23 dicembre 1923, con l’autore che descrive la magica atmosfera e la religiosa attesa della festività nel contesto della vita semplice dei paesi abruzzesi, fortemente caratterizzati dal paesaggio rurale e pastorale che tanto attraeva l’artista.

Un’occasione anche per ricordare il 130° anniversario della sua nascita.

La trascrizione dell’articolo è completata, come da originale, da alcune xilografie, anche se la loro qualità risente del tipo di carta e del tempo trascorso.

Il racconto di Carlo d’Aloisio da Vasto presenta molte analogie con il “Natale abruzzese” di Vincenzo Bucci, tratto da “La Lettura”, rivista mensile del “Corriere della Sera”, n. 1, gennaio, 1914. Entrambi lontani dalla propria terra d’origine, lasciano avvertire nei loro scritti la lontananza e la nostalgia dell’infanzia abruzzese.

N.R. – Si ringrazia Antonio Bini, direttore editoriale della rivista “Abruzzo nel Mondo”, tra gli organizzatori dell’iniziativa promossa dall’Associazione Culturale “SmartLab Europe“, svoltasi il 16 dicembre 2022 presso il Caffè Letterario di Pescara.


La cappa del camino s’inarca sopra di noi: la casa dei nonni ci dà allegria e il ristoro della fiamma schioppettante.

Gira lo spiedo con eguale cigolio e il capitone s’arrostisce tra le foglie odorose d’alloro.

Nessun giorno festivo dell’anno ha presso di noi abruzzesi, come da per tutto, solennità maggiore del Natale. E ritorna nella sua perenne giovinezza anche quest’anno. Con il sentimento popolare fa rivivere intorno a sé tutte le tradizioni più antiche, che si affollano, si mescolano nella ricchezza di riti antichissimi. E come la nostra anima sente la nostalgia dei Natali lontani, in questi giorni, ora sorrisi dal sole, ora velati di nebbia.

L’antica ricorrenza che per tanti lustri ha ispirata ai nostri buoni avi la fede più pura e più bella del focolare domestico, ci richiama al nostro Abruzzo per rivivere la festa che è nella neve che fiocca eguale, candida, silenziosa; per risentire il suono delle campane delle nostre chiese; per rivedere i preparativi che fervono in tutte le case; per rivedere il classico presepe con le stradicciole perdentesi, con le pecorelle e i pastori di creta, sparsi sui pei piccoli monti ricoperti di neve fatta con la farina; i contadini e le contadine che scendono con le loro famiglie dalle casette per portare i doni “a lu bambine” nella fantastica grotta di Betlemme improvvisata con rami, tronchetti d’alberi, creta e sassolini colorati.

Dappertutto la vita sonnacchiosa della campagna si è fatta intensa. Per i campi chiocchiano i tacchini, le vittime dell’ingordigia natalizia. E come nel presepe, le donne e i contadini vanno e vengono, salgono e scendono, affaccendati per le valli, con le canestre sul capo, ricolmi di doni natalizi.

Gli zampognari che un bel giorno erano sbucati non si da dove, avvolti nel loro mantello turchino e le gambe strette nelle liste dei sandali, hanno fatto la novena, hanno empite le bisacce di dolci, di aranci e sono scomparsi. Nessuno sa di dove vengano né dove tornino: il Natale li riconduce oltre i monti con la sua leggenda.

Natale! Natale!

La vigilia è venuta. Le campane vespertine fanno sentir egli ultimi rintocchi: ogni famiglia si richiude in casa per attendere al famoso cenone e rompere così il digiuno. Il cenone è prelibato e copioso nelle case dei signori, mentre i poveri, pur non rinunziando all’abbondanza, rimangono frugali. Sette minestre bisogna mangiare: fagioli bianchi, perché i rossi sono dozzinali; maccheroni conditi con la sarda fritta nell’olio, baccalà col sugo rosso, castagne, mandorle, fichi secchi, noci e qualche torroncino fatto in casa.

E si mangia e si beve nella notte lunga. Le famiglie dopo il cenone si adunano intorno al focolare, dove arde inconsumabile il ceppo. Si veglia e si raccontano le strane leggende del Natale. Intanto ci sono quelli che visitano i presepi per le chiese o in case di amici. E qui babbi e mamme, nonni e nonne che danno spiegazioni ai piccoli:

Chicchirichi: é nato Iddio
Risponde il bue: Muhh ! Dove ?
Dice la pecorella: Beh ! A Betlemme
Dice l’asinello: Ahhh ! Andiamo a vedere Gesù

E tutti in coro:
Gesù Criste piccirilli,
chi lu cape ricciutelle,
chi na veste turchinelle

I pastori e i contadini che abitano in campagna tornano in paese per assistere alla messa di mezzanotte. Tornano facendosi lume lungo le strade con fascine di canne accese, che da lontano producono l’effetto di una lunga interminabile processione di lumi nell’oscurità.

La mezzanotte si è avvicinata. Da ogni casupola escono i contadini, s’accolgono in gruppi, proseguono frettolosi e ciarlieri verso la chiesa, come nere ombre su la neve bianca. Giunti in chiesa, si passano da una mano all’altra l’acqua benedetta. Si fanno il segno della croce e si avvicinano all’altare maggiore, dove in una gloria di luce e di fede il Bambino sorride tra il bue e l’asinello.

Natale ! Natale ! Suona nei nostri cuori.
Natale ! Natale ! Risponde, come eco, la campana notturna che chiama i fedeli alla messa.
“Pace in terra agli uomini di buona volontà”.

La fiaba rivive anche quest’anno, come tutti gli anni, nel ricordo risuona tra le nenie preferite, rintocca nei suoni smorzati dalla campana della notte grande.

L’uomo vorrebbe ridiventare fanciullo, affinché tornasse uno di quei lontani Natali, trascorsi nella raccolta solennità familiare.

Dorme in silenzio il divino fanciullo di cera fra i mille lumini colorati del presepe. E dorme il suono della zampogna che si è dileguato pei monti vestiti di bianco.

O cantori popolari d’Abruzzo, o ambulanti suonatori di cornamusa e di cennamella, o classico presepe, o tradizionali cenoni, o ricordi o rimpianti di un rito gentile, o cari piccoli brandelli di una festa di pace e di fede, voi alcuno avete la virtù di saper farci dimenticare per un giorno dell’anno tutti gli affanni della vita, tutte le tristezze del mondo!

Carlo d’Aloisio (da Vasto), da “Il Messaggero” del 23 Dicembre 1923


Carlo D’Aloisio nasce a Vasto il 13 aprile 1892.

Sin da giovanissimo è attratto dall’arte e da autodidatta approfondisce le tecniche della xilografia e dell’acquerello. A vent’anni si trasferì a Roma. Qualche anno dopo chiese che fosse aggiunto al suo cognome “da Vasto”, rimarcando per sempre le sue origini. Come pittore le sue opere furono esposte in mostre tenute in Italia e all’estero.

Fu anche direttore del Museo Civico di Roma e della Galleria d’Arte Moderna di Roma.

Prolifica la sua attività giornalistica. D’Aloisio visse a Roma dove morì il 21 novembre 1971, ma volle essere sepolto nella sua Vasto.

Negli ultimi anni è stata costituita l’Associazione Culturale “Archivio del Maestro Carlo d’Aloisio da Vasto”, allo scopo di ricostruire e valorizzare l’opera dell’artista.

Antonio Bini