… Carlo D’Aloisio da Vasto, che tutt’ora opera ed espone, già fino dal 1930, ed anche da prima, era uno degli iniziatori a Roma, della pittura tonale. Era in relazione con Trifoglio ed anche con Melli, che fino allora aveva fatto lo scultore: Come loro, egli non aveva partecipato al “Novecento”; intendeva il rinnovamento della pittura secondo una direzione diversa da quella di Carrà, Sironi e Funi, a Milano; di Soffici a Firenze.
A Roma si stava costituendo, in quel tempo, un movimento indipendente. C’era stata già la rivista “Valori plastici”, di Broglio. Molto avevano richiamato l’attenzione i nuovi studi su Piero della Francesca. Era il momento della rivalutazione di questo pittore. Ed era il momento di Leopardi, e della sua lirica intimista, dalla parola quasi mormorata, le cui opere spesso si trovavano negli studi dei pittori, oltre che dei letterati, in quel tempo, a Roma.
D’Aloisio da Vasto negli anni immediatamente precedenti e successivi al ’30, era a contatto con molti artisti: organizzò, in quell’anno, un volume interessantissimo, l’Almanacco degli Artisti che rimane tutt’ora uno specchio fedele dello stato dell’arte in quel tempo. Diffondeva le sue idee personali sulla pittura, che erano per una pittura come lirica, della quale avrebbe dovuto essere strumento il tono.
Egli era un temperamento prevalentemente interiore, portato al dominio dell’emozione da parte dell’intelletto. Estremamente sensibile al mondo tonale, plasticamente, in un modo nuovo, gli spettacoli naturali. Era una trasfigurazione, per analogia, di paesaggi di oggetti: tutti in un ambiente di luce diffusa nella quale acquistavano un nuovo misterioso risalto.
Di quel tempo si conservano, ancora oggi, opere, che ha esposte anche di recente, nelle quali la disposizione e le materie, accuratamente calcolate, sono già, di per se stesse, un’opera; e la luce diffusa senza ombre, ne esalta straordinariamente il valore. Egli ama gli interni chiari o bianchi; la luce bionda, dorata, che li sommerge: l’effetto è di una trascendenza che non perde, però, mai i contatti col concreto; d’una oggettività superiore, che non cessa, per questo, di essere oggettiva. Il suo temperamento lirico, però, non lo distoglieva dal cercare per la sua pittura altri ambienti; dall’indagare per esempio, la possibilità di tradurre, per mezzo del tono, l’ineffabile, l’inafferrabile emozione della luce lunare. Un bosco sotto la luna. La sapienza ormai sicuramente posseduta, del colore tono, glielo permetteva.
Ne sono risultati quadri definitivi, che impressionano. Sono certamente tra i più significativi della pittura italiana degli ultimi trent’anni. Dovrebbero essere anche tra i più noti.
Carlo D’Aloisio da Vasto e Trifoglio erano due ricercatori autonomi, personali, ciascuno per proprio conto, nel campo della pittura tonale già fino dal 1930; ricercavano, operavano, ma non teorizzavano ne’ sistematizzavano la loro opera.
Non cercavano seguaci, ne’ cercavano una sigla, come oggi ormai generalmente si usa, allo scopo di fare gruppo e di sfondare. Si unì loro spontaneamente, fino da quel tempo, Roberto Melli. Egli era stato, fino a quel tempo scultore; si era reso noto per alcune sue manifestazioni personali, in questa arte; amico di Broglio, aveva fatto con lui parte della rivista “Valori plastici”: Era anche lui un lettore di Leopardi; s’interessava ai cenacoli letterari intimisti di quel tempo; ma, più che negli altri, era prevalente nella sua personalità la componente intellettuale, anzi, qualche volta cerebrale, che lo portava alle generalizzazioni. Ciò non gli impediva però, di essere un temperamento caldo, umano, affettuosamente espansivo: portava nelle lunghe discussioni con gli amici artisti un trasporto, una passione, che li trascinava.
Trifoglio, Carlo D’Aloisio da Vasto e Melli erano già operanti, in questo senso, nel 1930; già realizzavano il primo nucleo della loro opera – indipendentemente uno dall’altro, sebbene, nella stessa corrente del tonalismo.
Furono a Roma, i tre primissimi iniziatori di questa corrente.
Intanto, la loro opera era già conosciuta, specialmente tra gli artisti. I giovani si rivolsero, assai presto, a loro.
Si aprì la II Quadriennale, quella del 1935. L’organizzatore Oppo, come sempre critico sensibile, aperto a tutte le tendenze, accolse i tonalisti romani al Palazzo delle Esposizioni; e mise, soprattutto, in evidenza i tre iniziatori. Le opere di Trifoglio, furono subito segnalate dalla critica ed acquistate per il Museo di Campidoglio, per la Galleria di Valle Giulia, e per altre gallerie; così quelle di Carlo D’Aloisio da Vasto e di Melli. Insieme a loro, entrò al Palazzo delle Esposizioni un gruppo di giovani, anch’essi tonalisti, divenuti tali negli anni successivi al’30. Tra essi c’erano Cavalli, Caporossi e Ziveri, uniti in gruppo; oltre ad altri.
Tutti questi, però, si presentavano compatti. Avanzavano insieme, sotto un’insegna. Sapevamo cosa significhi avere un’insegna.
Mentre i primi tre, specialmente Trifoglio e Carlo D’Aloisio da Vasto, si chiudevano nella loro indipendenza, preoccupati dal tormento di ogni artista, che è di approfondire la personalità, esplorarla, per dare la massima concretezza ad idee lungamente cercate, gli altri si preoccupavano del pubblico.
E’ triste ancora oggi, nel catalogo dell’VIII Quadriennale, in uno scritto dal titolo: “Sguardo alla giovane scuola romana dal 1930 al 1945”, a firma di Giorgio Castelfranco, vedere interamente taciuti i tre iniziatori autentici, per opera dei quali il movimento ebbe un senso: perché lasciarono opere durature. Cadendo in una svista, perdonabile, se mai, a un compilatore, ma non ad un critico, si scambia, in quell’articolo, lo slogan per l’opera, l’etichetta per il contenuto. Si citano proprio quelli di quasi nessuno dei quali, per mancanza di una vera personalità, i quadri dipinti in quel tempo resistono. Si tacciono invece quelli le cui opere, mano a mano che il tempo procede, sempre più si affermano.
Giuseppe Pensabene, su “l’Italiano” – Anno II n° 4 aprile 1960