Carlo d’Aloisio da Vasto (1892–1971), personaggio di rilievo nel panorama artistico e culturale novecentesco

50 anni fa la sua scomparsa. Iniziative in progress per il 50° che cade il 21 novembre

Vasto marina

Carlo d’Aloisio da Vasto (1892 – 1971), personaggio di rilievo nel panorama artistico e culturale novecentesco, è l’artista vastese del quale ricorrono cinquant’anni dalla scomparsa. Una personalità poliedrica che, intuendo prestissimo la propria vocazione artistica, l’ha seguita con determinazione, sicché già a 16 anni, avuto conferma delle sue potenzialità, si è trasferito a Roma, divenuta la sua città per la vita, senza però mai dimenticare il luogo d’origine, riproponendone ininterrottamente le atmosfere, le “sembianze”, le cromie; divenute una sorta di ritmo interiore a sollecitarlo, a scandirne l’ispirazione.

Gli artisti non sono sempre teneri fra loro e dunque riconoscimenti indirizzati a Carlo d’Aloisio da parte di personaggi che hanno segnato il percorso artistico del novecento, sono quanto mai indicativi. Ha scritto di lui Carlo Carrà: “un artista che è, con i suoi mezzi, attuale e moderno con sensibilità e intelligenza”. Aggiungendo: “Uomo di battaglie spirituali, il D’Aloisio porta nella pittura l’ardore delle sue passioni ed i suoi particolari convincimenti”.

Per quanto attiene alla versatilità, ai molteplici interessi artistici, alla capacità di assorbire da un tempo di forti esigenze di rinnovamento di formule pittoriche che tendono a equilibrare, amalgamare, determinare un modo nuovo, in grado di assorbire più che escludere e distruggere, mi pare possa essere interessante ciò che scrive Renato Guttuso: “Chi volesse farsi un’idea della società artistica e letteraria di una cinquantina d’anni or sono non dovrebbe trascurare di dare un’occhiata all’Almanacco intitolato il Vero Giotto e dovuto all’iniziativa appassionata di Carlo d’Aloisio da Vasto”.

L’Almanacco degli Artisti. Il vero Giotto, pubblicato dal 1930 al 1933 dà voce ad artisti come Roberto Melli, Mario Mafai, Fausto Pirandello e tantissimi che sarebbe troppo lungo elencare. Si tratta di pubblicazioni che divengono il punto di riferimento del movimento artistico romano e non solo, luogo d’incontro, dialogo, confronto fra i maggiori artisti e critici dell’epoca.

D’Aloisio vive in un tempo di numerosi e innovativi linguaggi artistici. Correnti complesse e complementari. E’ probabile che per l’artista vastese l’impulso più consistente sia derivato dalla frequentazione con Felice Carena all’epoca tra i pittori più quotati che aprì a Roma una scuola d’arte e propose una lettura pittorica dal vero, fondendo tradizione e modernità e dando valore al paesaggio.

Il gruppo d’artisti giovani ed entusiasti che gravitarono in quell’area confluirono in buona parte nella Scuola romana. Certamente il genere di ricerca fu molto personale, la scuola romana definisce un’epoca dalle varie anime, in quanto formata da un gruppo eterogeneo di artisti operanti a Roma tra il ’20 e il ’40, e che venne chiamata anche Scuola di Via Cavour, mentre in francese è ricordata come “jeune École de Rome”. L’obiettivo, la ricerca di un incontro tra modernità e tradizione, il linguaggio post-cubista e l’arte classica, non era molto dissimile. Si presentava questa realtà artistica in una pluralità di variabili: tonalismo, chiarismo, realismo magico. Formule che alla fine conducono alla fluidità dell’immagine, ad una pittura improntata su di un naturalismo poetico, narrante, pastoso.

Il termine “Realismo magico” fu la definizione che diede nel 1925 il critico tedesco Franz Roh per indicare una pittura ricca di dettagli realistici e tuttavia lontana, come relegata in una sfera affabulatoria, grazie ad elementi surreali o paradossali che donano all’insieme un che di vagamente misterioso, chimerico. C’è chi vede in questa tendenza pittorica una forma di post-espressionismo, dove tutto sembra fermo come sotto un incantesimo.

Diverso ma non poi così tanto il tonalismo di tradizione veneta che a differenza della pittura fiorentina basata sul disegno è invece legata al colore, la cui stesura graduale, tono su tono, finisce per creare effetti di leggerezza, velature che producono una fusione tra soggetti e ambiente; diviene il collante fra volume e spazio. Gli effetti di luce determinati dalle variazione del colore creano armonia fra tutte le componenti del dipinto.

C’è chi parla di pittura atmosferica. Non bisogna confondere il tonalismo (utilizzo di un tono unico), con la pittura tonale che usa più toni rappresentati non solo dalla principale emissione luminosa, ma anche dalle secondarie nonché dai riverberi e dai riflessi, raggiungendo una polifonia di toni. Il Chiarismo a cui spesso viene abbinato il termine tonale indica già l’affinità con la pittura tonale: una pittura dai toni chiari e luminosi​, priva di chiaroscuro, in cui al predominio dei valori volumetrici si preferisce la variabilità stilistica, il gioco di luci. Le correnti a cui abbiamo fatto cenno sono molto interessanti in un’epoca a cavallo tra otto e novecento, caratterizzata dal susseguirsi di movimenti e stili tra i quali emergono cubismo, espressionismo, surrealismo, dadaismo, fauvismo, pittura metafisica, futurismo, e non solo.

L’ Arte d’Avanguardia è tesa a superare i canoni culturali prestabiliti, nell’idea di affermare nuovi principi in una esigenza di rinnovamento, adeguandosi ai vari contesti socioculturali. C’è poi un’altra corrente artistica sorta dopo la prima guerra mondiale che si propone diversa ponendo come centrali la tradizione, il classicismo, la figura, la componente volumetrica. Una pittura realista che metterà in crisi le varie avanguardie. Opere contraddistinte da forme plastiche e geometriche. Ma non prive di quella forza incantata che le fece includere nella corrente del realismo magico.

Ecco dunque che alla fine molti collegamenti e affinità avvengono e i giovani artisti della Scuola romana, i chiaristi lombardi, i seguaci del tonalismo non sembrano dissociarsi poi tanto da tutto questo fermento di idee e proposte, anche se rimangono in un’area un po’ defilata, nonostante la notorietà acquisita dalla Scuola romana; poiché se la sintonia nei riguardi della tendenza ad andare oltre la realtà oggettiva per indagare in quella più intima, dando spazio all’inconscio, all’istinto, l’idea di accantonare la prospettiva, appartiene a buona parte della nuova realtà, la scelta di spaziature, tonalità, atmosfere hanno un timbro, un ritmo poetico, scansioni, morbidezze che non si riscontrano così decisive altrove. Mi sembra interessante anche il voler esplorare le tante possibilità espressive dei colori. Dunque il d’Aloisio vive e opera in un tempo ricchissimo di stimoli. Ed egli assorbe molto dal suo tempo e non solo in termini pittorici.

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I primi passi d’artista Carlo d’Aloisio li fa come xilografo, collabora a vari periodici tra i quali La Rivista d’Oggi, L’Attualità, Il Romanzo dei Piccoli e successivamente l’Emporium, Satana Bebba, Corriere dei Piccoli. Diviene illustratore di copertine di libri per editori quali Carabba, Mondadori, Trevisani, Maffei e Berlutti. Per Berlucchi ad esempio illustra la Vita di F. Baracca di Mascardi e i Discorsi del giorno, così come Epopea della Grande guerra, diario degli avvenimenti 1914-18 dell’Ammiraglio Vittorio Moreno. Ma è soprattutto la ricchezza della produzione pittorica che emerge e gli dà modo di esibirsi in numerose personali e collettive, non solo in Italia. Lo troviamo presso le Biennali di Venezia e le Quadriennali di Roma, oltre che in personali realizzate in città italiane ed estere come Parigi, Losanna, Los Angeles, Varsavia.

Nel 1927 sposa Elisabetta Mayo, pregevole scultrice, allieva del notissimo Vincenzo Gemito. Una unione di spiriti affini che sarà molto importante e produttiva per entrambi. Nel 1929 la Mostra realizzata dal d’Aloisio presso le sale delle “Tre Venezie” in Roma, verrà visitata da Vittorio Emanuele III e consorte, ammirati dalle sue opere; ne acquistano infatti tre. E’ un vero successo. Tra i giornalisti che seguono l’evento ce n’è uno vastese, Francesco Anelli che ne Il Vastese d’Oltre Oceano non riesce a trattenere l’orgoglio, rimarcando la provenienza dell’artista: “E’ l’Abruzzo che trionfa in questi quadri. Ma sì, è più che l’Abruzzo! E’ Vasto! Vasto nella torre di Santa Maria …col prolungamento del Monastero di santa Chiara; è la processione che rientra da San Pietro… è il mare, i colli sovrastanti, è la campagna nostra …”.

Il d’Aloisio continua, non diversamente dagli esordi, la ricerca del suo vero se stesso. Si potrebbe pensare, guardando i dipinti che sia un poeta prestato alla pittura, anche se altre soluzioni ce lo rendono con caratteristiche differenti; su tutto sicuramente domina la passione con la quale si muove e agisce, e un fondo dinamico mai pago, sempre alla ricerca di mutamenti e approfondimenti, di variazioni. E’ come se in lui agissero due stati d’animo, o due anime, non in contrasto ma indipendenti: la dimensione mnesica, il ritmo quieto e gli spazi, le tonalità della provincia, e la foga del fare, del costruire, dell’emergere.

Da un lato la vita che trascina, il Museo da comporre e organizzare, le nuove correnti di cui discutere, le partecipazioni a Mostre, tutto il bagaglio della vitalità, irrinunciabile, dall’altro l’abbandono, la dolcezza, la memoria, la pennellata pastosa, la distensione. Nel libro Discanto di Pasquale Scarpitti è riportata una lettera dell’artista dalla quale traiamo questa frase molto indicativa: “La mia terra d’Abruzzo, se pur lontana da me da lustri, mi è rimasta teneramente e dolcemente nel cuore come una “sposa” vergine, intoccata e intoccabile”. [1]

Interessante è anche ciò che scrive nel 1916 sull’Emporium: “Senza dubbio la vera forza dell’Italia nuova risiede nelle sue provincie; tutti i germi di vita e di potenza, di bellezza e di valore che le grandi città maturano e dissolvono nascono tutti dal seno delle città minori. Ogni pietra vi nasconde una sorgente di ricchezza, ogni silenzio vi genera un’idea … La piccola città di Vasto (oggi compresa nella zona di guerra) ne ha offerto recentemente un esempio che si può chiamare mirabile. Alta e severa nella bellezza tetra del suo castello, delle sue torri, del suo Palazzo che rammenta la sontuosità guerriera dei d’Avalos e dei Colonna; circondata da ogni parte dalla verdezza degli ulivi, dinanzi al bell’azzurro dell’Adriatico solcato di vele rosse e gialle …”.

Crescendo la fama crescono onori e oneri. Nel ‘30 gli viene dato l’incarico di realizzare ed allestire la Sezione Moderna del “Museo di Roma“, di cui diverrà in seguito direttore e conservatore. Avrà inoltre la direzione del Palazzo delle Esposizioni e della “Galleria Comunale d’Arte Moderna” che da via dei Cerchi riuscirà in seguito a far trasferire in Palazzo Braschi. Il Comune di Roma acconsentirà nel 1950 e il d’Aloisio metterà ogni impegno per il restauro e l’organizzazione del Museo.

Questa sua densa attività non lo allontana dalla pittura. Tra le iniziative più interessanti c’è, come già detto, la creazione della rivista “Almanacco degli Artisti. Il Vero Giotto” pubblicato dal 1930 al ’33 e che divenne punto di riferimento per tanti artisti di valore. Il loro contributo fa notare come vi siano presenti movimenti e tempi dell’arte nazionale e internazionale: cronache regionali ed estere (Francia, Spagna, America). Lo spazio dato alle varie correnti artistiche porta firme importanti, Paladini, Dottori, Marchi, Pirandello, Melli, Trifoglio. Si parla di architettura, i temi sono plurimi, si dà spazio all’ironia, alla satira, le cronache danno il polso degli umori del tempo.

In sostanza Carlo d’Aloisio è un personaggio che si presenta con una poliedricità di interessi e ispirazioni che lascia ammirati: affronta con abilità più pratiche pittoriche, fra cui l’acquerello; i suoi interessi spaziano dalla letteratura alla pittura, alla grafica, alla critica, all’organizzazione dei grandi eventi. E’ un cartellonista apprezzato. Presso la Pinacoteca comunale di Vasto sono conservate alcune sue grafiche di particolare bellezza. Vorremmo che la notorietà di questo artista rinverdisse, acquistando lo spessore che merita nel panorama non solo italiano. A conclusione riporto alcuni suoi pensieri che trovo suggestivi:

“Recentemente ho voluto rivedere i luoghi della mia fanciullezza, della mia adolescenza, della mia giovinezza. E vi sono andato per un colloquio intimo d’amore, arrivando in piena notte di plenilunio. E – solo – vi sono rimasto fino all’alba. Cari posti miei in riva all’Adriatico: Casarza, il Trave, Vignola, Punta Penna, Vasto! Poi ho preso commiato con le lacrime agli occhi”.

“Io ho amato la mia terra d’Abruzzo come un figlio ama la propria Madre. E questi amori tenuti gelosamente nascosti e racchiusi nel cuore, vengono maggiormente goduti in una solitudine, in un godimento spirituale della natura e dei suoi colori”.

Gabriella Izzi Benedetti

Articolo tratto dal blog editoriale “Piazza Rossetti” dell’11 Luglio 2021