Carlo D’Aloisio Da Vasto, ch’io sappia, non ha mai esposto nella nostra città, ma il suo nome non è affatto quello d’ un ignoto. Ideatore e realizzatore di pubblicazioni artistiche, quali l’almanacco “Il Vero Giotto”, ha anzi ormai una buona nomea negli ambienti intellettuali milanesi. Questo spiega che la sua esposizione a Casa di artisti sia stata largamente visitata dal miglior pubblico nostro.
Uomo, dunque, di battaglie spirituali, il D’Aloisio porta nella pittura l’ardore della sua passione e i suoi particolari convincimenti. Ma se è di temperamento battagliero non è affatto quello che si dice un improvvisatore.
Il nostro amico non ha niente a che vedere con quei pittori che cercano di far colpo con le trovate esteriori. Caso mai si tratta di un temperamento che frena fin troppo gli impulsi. In altre parole il D’Aloisio crede al ringiovanimento dell’ arte, crede alle nuove correnti culturali, seriamente, e a queste si è avvicinato con tutto il disinteresse. Trattasi quindi di un artista che è, con i suoi mezzi, attuale e moderno con sensibilità e intelligenza. Egli sa che il movimento artistico contemporaneo è una forza che non può fermarsi.
Questo si dice in generale. Quanto al modo, gli acquerelli che presenta mi sembrano talvolta secchi e di materia un po’ uniforme. Tale uniformità e secchezza forse derivano dal troppo rigore di certi canoni e dai criteri, giusti in se, della determinazione formale. In sostanza, però, rilevato questo appunto, facilmente superabile egli cerca di imprimere al rapporto spaziale delle cose un valore assoluto, non dimenticando l’elemento poetico e le finalità a cui sempre tende l’arte della pittura.
Osservando i dipinti più riusciti fra trentacinque che ne presenta, si è anzi indotti a supporre che il D’Aloisio è ormai volto ad una raffigurazione pittorica assai più modulata, cioè ad una forma d’arte dove la materia abbia la duvuta elaborazione.
Dalle forme un po’ illustrative di una volta, egli è pervenuto ad un concetto assai più rigorosamente costruttivo. Il bisogno di un ordine architettonico delle masse e l’osservazione realistica, spesso si congiungono in un significato, che può ben dirsi inconsueto e non restringibile ai canoni del mero naturalismo.
Fra i paesaggi che mi sembrano degni di essere distinti con particolare menzione sono “La piazza del paese”, “Campagna d’Abruzzo”, “La strada”, “Vecchio porto”, “Neve” e “ Marina”, segnata nel catalogo col numero otto.
C’è poi anche d’aggiungere che certe esperienze costruttive fatte una volta non si dimenticano più, e ciò, nel caso specifico, è oltremodo convincente se chi si pone davanti a questi acquerelli sa vedere la viva sostanza che li ha generati.
Riassumendo le nostre impressioni in una frase, diremo quindi che nei lavori suindicati non vi è la solita abilità di mano e il solito virtuosismo, che portano l’acquarellista tanto spesso alla bravura e alla maniera, ma uno scavare fecondo, un amor schietto che rifugge dai facili effetti e dallo sfarfallamento di cromatica piacevolezza”.
“Carlo D’Aloisio Da Vasto in questa sua mostra si rivela pittore di sicura tecnica e di finissimo gusto. Il D’Aloisio sa, quando vuole, dipingere un intero quadro con i diversi toni di un solo colore. Forse, per conquistare quella sodezza delle forme, quell’architettura del paesaggio, che con l’impressionismo andava perduto, egli ha fatto più larga la sua pennellata, ha anzi addirittura immaginato il quadro come un insieme di forme ciascuna delle quali abbia il proprio colore e il proprio tono. Ma il D’Aloisio Da Vasto si serve di questa tecnica per dipingere con una franchezza davvero rara. E schiarita in tal modo e semplificata la propria tavolozza, fa quadri che pur richiamando alla memoria il Marquet e l’Utrillo sono originali ed esprimono il suo sentimento di artista.”
Carlo Carrà, su “L’AMBROSIANO” (n°142 Milano 15 giugno 1932) – “MOSTRE MILANESI – Fantasie e realtà”